10 ottobre 2007

1,2,3,4,5,6....

..........contar non nuoce!

9 ottobre 2007

non sempre rispond*

...poi forse il tempo,perdono d'urgenza.

sono settimane.
(quante realmente?a parte la sensazione romantica nel pronunciarlo.)
dicevo,sono settimane. A parte..
sì, tralasciamo i dettagli.
sono domande per nulla nuove, un ritratto immaginario.
Continui rimandi che avrei giudicato in passato ( quanto passato? ieri, l'altro ieri?)
Continui rimandi che avrei giudicato in passato..quantomeno superflui.

controvoglia mi affeziono.alla tua assenza,più che altro.
al posto vuoto, che non lo è mai, giù in quel bar.
avranno preso a prestito i nostri discorsi, quasi il caso giocasse a designari luoghi e simmetrie per le medesime scelte.


poi forse il tempo,perdono d'urgenza.senza punti di sospensione questa volta, nè prima nè dopo.

29 settembre 2007

per te, per me!


Paolo Sofri in questo articolo parla di "culto della gastonomia", ma potrebbe parlare di biciclette,di peluches,di fotocopiatrici...e il discorso di fondo sarebbe magnificamente uguale!


Ho da qualche tempo in testa una battuta, che mi piace molto, e non mi ricordo di chi è. Tanto che ho cominciato a raccontarmi di averla inventata io, ma so che non è vero. La battuta è questa: gli chefs sono gli stilisti di oggi. Mi piace perché sintetizza essenzialmente, con un riferimento diretto a un giudizio assai condiviso sulla sopravvalutazione mediatica e salottiera della “moda”, un desiderio per la restituzione a dovuta misura delle cose che riguardano il cibo e la cucina e della loro enfatizzazione salottiera e mediatica. Mi spiego.
Da molte cose belle e interessanti - la musica, la letteratura, la cioccolata, le cravatte, la storia medievale, internet - sono spesso tenuti alla larga i curiosi e i potenziali appassionati da un atteggiamento che si diffonde credo in tutti i campi di possibile passione: siano Star Trek o Percy Shelley. Parlo della creazione di comunità elitarie, ostili, presuntuose, che mettono a sentinella della loro pretesa priorità gerghi e cerimonie sproporzionati, infantili e spesso ridicoli. Credere che poiché si è particolarmente esperti o appassionati di qualcosa se ne sia in qualche modo possessori e se ne debba essere gelosi, è comprensibile e umano, ma come molte cose umane, un po’ ridicolo. Le cose sono di tutti, che si tratti della propria città, di Bob Dylan o dei canederli. E sprezzare il ridicolo nascondendolo dietro apparecchi di sproporzionata solennità, peggiora le cose. Prendo come esempio evidente un campo che conosco, e su cui non escludo io stesso di tentennare a volte verso modi di questo genere, fuggendone con vergogna quando me ne accorgo: la musica. Chiunque abbia mai sfogliato un qualsiasi giornale che si occupa di musica, o anche solo la sezione relativa dei giornali generalisti, sa a quali vette di letteratura enfatica sappiano arrivare i critici musicali. E tutti conoscono il fanatico senso di possesso nei confronti dei musicisti che ammala i fans anche più piantati per terra e che li porta per esempio a pensare di avere maggiori diritti su John Lennon, Kurt Cobain o Giorgio Gaber di quanti ne avessero le rispettive amate spose. Grazie al cielo, tutto questo fu almeno messo definitivamente in ridicolo dalla fulminante frase di Enzo Jannacci: trattasi di canzonette. Una delle battute più conclusive e significative della storia: perché non sostiene che quel di cui si parla non abbia nessuna importanza – le canzonette sono importantissime – ma gli attribuisce la dovutissima misura e normalità.

Ecco, oggi qualcuno dovrebbe alzare con permesso il dito verso i cerimoniali gastronomici, verso le sentinelle della correttezza culinaria, verso i gerghi della ristorazione e gli atteggiamenti da iniziati, e indicare con rispetto e partecipazione che trattasi di pastasciutta. Una cosa ottima, ma pastasciutta. Inciso: credo che l’antiproibizionismo sulle droghe farebbe grossi passi avanti se cominciasse a normalizzare non solo lo scandalo dei proibizionisti ignoranti, ma anche la solennità ammiccante e iniziatica annessa da molti al consumo di una cannetta. Se io sono ignorante di droghe, è perché mi sarei sentito ridicolo a partecipare di tutta quella fenomenologia del rollare e bruciacchiare guardandosi intorno e darsi di gomito come se si stesse compiendo una rivoluzione morale.
Torniamo al mangiare, e al paragone modaiolo. Non c’è dubbio che l’attenzione che è gonfiata in questi anni nei confronti della gastronomia e della sua sostenuta élite, somiglia tantissimo a quella che la moda e i vestiti si sono guadagnati stabilmente una ventina d’anni fa. Alla moda va riconosciuto tra l’altro il merito di aver saputo mescolare alto e basso, di aver raccolto in giro un po’ di tutto, mentre i guardiani della cucina corretta fanno ancora molto gli stinfi con la coca-cola e gli hamburger. Ma forse è solo questione di tempo: i modaioli sanno di avere conquistato il mondo, i gastrofanatici si sentono ancora molto carbonari. Comunque, quello che mi pare più interessante di questo paragone è la differenza vera. La legittimazione morale a sinistra. Spero di essere brevemente chiaro con l’esempio di Massimo D’Alema, mi perdoni se lo tiro in ballo ancora in cose così lievi. Sui giornali D’Alema è stato – inopportunamente – assai citato a proposito di due sue passioni. La prima, la buona cucina, il cuoco Vissani, la passione gastronomica: ah, che uomo raffinato, di grandi gusti, che completano la sua statura politica, e via in televisione a discuterne allegri, e il sostegno della sinistra da osteria (detto in senso buono). La seconda, le scarpe, ovvero i vestiti, la moda: e vi pare che qualcuno abbia detto “che uomo elegante”? Qualcuno a sinistra è stato fiero del suo gusto, della sua attenzione alle cose raffinate e gustose della vita? Macché: scandalo e disapprovazione (e non si dica che è questione di soldi, che i ristoranti che la sinistra intellettual-vinaiola frequenta costano come le Church e durano molto molto meno).

Insomma, con il culto della gastronomia e un lavoro certosino per la sua legittimazione culturale e sociale che ha rimosso ogni possibile obiezione sui suoi prezzi e sul fatto che poi se la possano permettere in pochi, la sinistra ha trovato la sua moda. Ha eletto gli chefs (smettendo di chiamarli cuochi) alle copertine e alle feste come la destra del disimpegno aveva fatto con gli stilisti (smettendo di chiamarli sarti). E allora a sinistra si storcevano un sacco di nasi. Poi i valori si sono estesi, e in generale voler mangiar bene è corretto, voler vestirsi bene no (a meno di non farlo con un gusto ruspante, da osteria in senso buono, à la Bertinotti, che comunque ne viene anche molto deriso: vedi le battute sulla sinistra di cachemire).
In questi giorni, dopo Firenze, è stata molto riportata un’esortazione di Sergio Cofferati a comprare libri anziché cravatte, merce del diavolo evidentemente, come le scarpe di D’Alema. Concita De Gregorio su Repubblica ha raccontato di un postumo notturno in cui il seguito di Cofferati ha ripreso l’invito: “tutti si sfilano la cravatta, uno dopo l’altro: una specie di rito, come se fosse una sfida”. A parte il ritorno del rito in qualsiasi fesseria si faccia, ma dove è avvenuto tutto questo? In pizzeria, dopo una bella cena.

5 settembre 2007

crescere oggi.



mi fai paura.

e il mondo guarda ed io non so guardare il mondo e prenderlo.
se sono triste,non lo so,vivo.

scandalo al sole


non c'è la cura.

e il cielo è blu,lo dici tu.nessuno è blu.

cristo gesù mi salvi tu.(?)

16 giugno 2007

debole jack

Citarsi addosso e nient’altro.
Lei non lo sa, ma la scala di do che usa in questa che chiama genialità musicale, puzza terribilmente di naftalina.
Sì, parlerai di rivisitazione, di post moderno, di reinterpretazione.
Ma saprai meglio di me d’aver torto.
Non c’è niente di peggio che mentire sapendo di farlo.
No, non vado in giro a bastonare chi commette errori.
Però ti ho visto camminare sull’altare compiacendoti appena della tua trasgressione.
Avrei preferito coglierti sul viso quella trasfigurazione lieve che è il frutto di una follia momentanea.
Sì, voglio la tua follia momentanea.
Riaccantona la benedetta scala di do e tira pugni e schiaffi.
Violenta appena,anche se è banale.
Ma ti prego,fatti crescere sul volto l’espressione della follia.

Ti ho vista rivoltare con le mani zolle di terra di qualche decimetro.
Ti ho vista sporcare il grembiule bianco e poi il volto togliendoti il sudore dalla fronte.
Ti ho vista troppo a lungo ed ho voltato lo sguardo.
Ho perso i tuoi occhi, coperti dall’abbaglio di sole che si scontra con il vetro delle tue lenti.
E mi hai consegnato cosciente l’assenza del tuo volto senza sguardo.

La tua profondità sta nella tua normalità.
Finisce sempre così.

Ho ancora della farina sulle mani io,tu la terra.

Finisce sempre così.

Ti tocco e ti impolvero.
Il segno sotto lo zigomo,
tra il labbro ed il mento.
Quindi hai segni disparati: terra e farina.
Tu che sporchi il bicchiere solo se metti il rossetto,diventi un’altra lei.
Non stringi mai,nemmeno quando eccedi con gli alcolici.
Che sai sempre dove e come mettere i piedi.
Io non so essere equilibrista.
Perdo troppo spesso l’equilibrio,
corro solo per fuggire o per inseguire,
mai per mano.

Non so aspettare, il solito domani che tu sai offrire.
Voglio “qui ed ora”.

Gli ultimi minuti del condannato a morte.
Lo slancio.
La prepotenza,la forza che di certo non ti manca.
La macchia.
I gomiti sul tavolo e la maleducazione che disegnano.
Voglio che tu senta quando nasce qui ed ora.

E poi,non perdiamo tempo.
Anche jack si sarà imbattuto in una donna così, che ha rinunciato a squarciare,non pensi?

1 maggio 2007

lei direbbe I am

che cosa sei tu?
io sono kate,piacere.
giusta affermazione,vero,ma sei proprio sicura di esserlo e fino infondo?
che cosa vuoi dire?

è presto detto.(l'inversione è evidenziata:prima io domando e tu rispondi,poi il contrario) tu sei proprio sicura di essere kate?la gente spesso si dimentica che tra voler essere e diventare c'è differenza.

(conoscevo una ragazza molto affascinante tempo fa,voleva essere Gainsbourg.Non ci riuscì mai,ma nessuno glielo disse.Lo sapevano tutti che non sarebbe riuscita ad impersonare il lato trash del signore in questione con la stessa disinvoltura).

tu diventi kate tutte le mattine?e per diventare intendo dire,chessò..ridere vedento il tuo volto riflesso nello specchio con il trucco sbavato,uno sconosciuto dalla tua parte del letto a due piazze.il latte scaduto nel frigo.ma anche la menta spuntata nel vaso,che t'eri dimenticata d'aver piantato.
tu sei la dimenticanza,il disgusto,la sensazione del-non berrò più così tanto-.

il passo successivo è:latte detergente,biglietto "scusami non ti ho svegliato,TI CHIAMO IO",un pò d'acqua alla piantina.varchi la soglia di casa con i primi vestiti che trovi,(e allora le ipotesi sono due:o tieni sottomano abbigliamento accuratamente coordinato,oppure la storiella delindossotuttoallarinfusasenzasceglieredallarmadio proprio non regge più).
ecco,questi meccanismi fanno fare un balzo indietro.
ma la bellezza della questione sta in questo granellino,tu vuoi dinentare quella ripulita dal cotone .

essere in senso stretto,io SONO. è questione delicata.
io sono tutti i giorni e fino a nuovo ordine -non di convenienza- kate.
l'hai mai pensato davvero?
e questo non vuol dire che non sarai mai nulla di diverso da quello che sei ora.no,non dico questo,dico che lo dovrai divenatare.raccogliere tutti i punti nella apposite caselline e diventarlo.
e fai attenzione a non barare,chi non è diventato,mia cara,lo si becca subito!


13 aprile 2007