16 dicembre 2006

10 dicembre 2006

autoritratto

E guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po'
passo le notti a camminare dentro a un metrò
sembro uscito da un romanzo giallo,
ma cambierò, si cambierò

gettano arance da un balcone, così non va
tiro due calci ad un pallone, e poi chissà
non sono ancora diventato matto,
qualcosa farò, ma adesso no
Luna.

Luna non mostri solamente la tua parte migliore
stai benissimo da sola, sai cos'e' l'amore
e credi solo nelle stelle,
mangi troppe caramelle,
Luna.

Luna ti ho visto dappertutto anche in fondo al mare
ma io lo so che dopo un po' ti stanchi di girare
restiamo insieme questa notte,
mi hai detto no per troppe volte
Luna.

E guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po'
se sono triste mi travesto come Pierrot
poi salgo sopra i tetti e grido al vento
guarda che anch'io ho fatto a pugni con Dio.

Ho mille libri sotto al letto, non leggo più
ho mille sogni in un cassetto, non lo apro più
parlo da solo e mi confondo e penso
che in fondo si, sto bene così,
Luna.

Luna tu parli solamente a chi e' innamorato
chissà quante canzoni ti hanno già dedicato
ma io non sono come gli altri
per te ho progetti più importanti, Luna.

Luna non essere arrabbiata, dai non fare la scema
il mondo e' piccolo se e' visto da un'altalena
sei troppo bella per sbagliare,
solo tu mi puoi capire, Luna.

E guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po'
a mezzanotte puoi trovarmi vicino a un juke-box
poi sopra i muri scrivo in latino
evviva le donne, evviva il buon vino.

Son pieno di contraddizioni, che male c'e'
adoro le complicazioni, fanno per me
non metterò la testa a posto mai
e a maggio vedrai che mi sposerai,
Luna.

Luna non dirmi che a quest'ora tu già devi scappare
in fondo e' presto l'alba ancora si deve svegliare
bussiamo insieme ad ogni porta
se sembra sciocco cosa importa, Luna.

Luna che cosa vuoi che dica non so recitare
ti posso offrire solo un fiore poi portarti a ballare
vedrai saremo un po' felici,
e forse molto più che amici, Luna.

4 dicembre 2006

la grande guerra

Ormai la guerra avanza, unica possibilità per una pace che spesso sembra una chimera.Miei cari, da poco ho finito di consumare pane nero e carne secca. Il piatto del giorno da non so più quanti giorni. Accendo la mia sigaretta di fieno e il mio pensiero non può che andare a voi: unica salvezza, unico motivo per cui posso definirmi ancora un uomo.L’imbrunire ci coglie impreparati tutte le sere, il silenzio cala come la nebbia ed è assurdo che i nostri ideali ci spingano a rispettare solo il calar delle tenebre, non più le persone.Ci sono momenti in cui dimentico il sapore del pane, ci sono momenti in cui dimentico persino il motivo per cui ci troviamo abbarbicati su queste montagne. Alleanza, intesa: sono parole che ci rigiriamo in bocca non so più quante volte in una giornata. Alleanza, intesa sono parole che non hanno più significato.

I caporali c’incitano, dicono che il vento soffia in nostro favore, ma io sento queste montagne avverse. L’ Austria così vicina, così poco nitida la sua posizione.
Le notizie che ci arrivano sono frammentarie, e gli occhi dei messaggeri spesso si tradiscono.
Non posso dire di aver paura, ormai ci siamo abituati all’instabilità del futuro, la possibilità di tornare a casa. Ci sono giornate così lunghe in cui ogni fruscio in mezzo ai cespugli diventa una minaccia; il tempo che passa tra l’individuare una casacca nemica o una lepre di montagna ti lascia sospeso tra salvezza e minaccia. Impietrito saluti l’animale o impugni il fucile: sempre carico.
E voi come state?
Da qualche tempo non ricevo vostre notizie, dimentico i vostri volti e vostri profumi. Penso a Virginia, figlia mia che non ho mai tenuto tra le mani che adesso avrà imparato a parlare, ma che non sa quale viso abbia il suo papà.
Io vedo il mio viso sul volto dei miei compagni, la barba lunga e le guance scavate sotto, sembriamo cadaveri. Un poco lo siamo, perché lasceremo su queste montagne la parola speranza.. anche se vinceremo. Una guerra che non capiamo, una guerra che cambia direzione.
Nessuno ci spiega mai niente. Dicono di continuare tenaci, che presto saremo tutti a casa dalle nostre moglie, ma fatico a crederci.
Mi capita di ricacciare il pensiero indietro ogni volta che guardo il fucile e vorrei spararmi ad un piede, spezzarmi un braccio per tornare da voi. Qui servono solo due cose: un dito buono per pigiare il grilletto e un occhio buono per prendere la mira, nient’altro.
Mi mancano le mie colline, quel profumo di buono che viene dalla terra. Simone mi prende sempre in giro per questo, dice che sto sempre zitto come un caprone, ma appena mi nominano il Piave mi illumino come un bambino. Quel Piave che mi ricorda il mio Po, la mia Torino, le mie colline a cornice d quel poco d’onesto che posso ricordare.
E come dire e soprattutto a chi? che le lacrime le tengo negli occhi perché non è dato a un soldato di piangere. Che la miseria che si vive in guerra ti fa diventare il cuore un ammasso di ghiaia.
Quando senti quel fruscio e non sai bene se sarà lepre o nemico a sorprenderti spesso spero in silenzio di vedere un fucile puntato verso di me e veder tutto finito. Non mi importa della gloria e del rispetto che gli italiani daranno ad un soldato che ha servito con onore la Patria vorrei solo che quest’agonia finisse al più presto perché ci stiamo consumando. Stiamo diventando trasparenti, fantasmi che non devono e non possono fare rumore. Respirare il più piano possibile e lasciare andare la rabbia in un urlo nel secondo prima di schiacciare il grilletto e ammazzare un uomo davanti a te che ha soltanto la divisa di un altro colore.
Sbaglio, a dirvi tutte queste cose. A lasciar trasparire la mia disperazione, a confessare così il mio cuore. Non voglio che stiate in pena. Ed è l'affetto per voi che mi fa rimangiare questi pensieri.
Tornare a casa sarà la mia vittoria,nient’altro. Stringere al petto Virginia e riabbracciare la mia sposa.
E pensando a questo il pane nero e la carne secca hanno un sapore più buono.

Sempre vostro.
Piero.

27 ottobre 1917