4 dicembre 2006

la grande guerra

Ormai la guerra avanza, unica possibilità per una pace che spesso sembra una chimera.Miei cari, da poco ho finito di consumare pane nero e carne secca. Il piatto del giorno da non so più quanti giorni. Accendo la mia sigaretta di fieno e il mio pensiero non può che andare a voi: unica salvezza, unico motivo per cui posso definirmi ancora un uomo.L’imbrunire ci coglie impreparati tutte le sere, il silenzio cala come la nebbia ed è assurdo che i nostri ideali ci spingano a rispettare solo il calar delle tenebre, non più le persone.Ci sono momenti in cui dimentico il sapore del pane, ci sono momenti in cui dimentico persino il motivo per cui ci troviamo abbarbicati su queste montagne. Alleanza, intesa: sono parole che ci rigiriamo in bocca non so più quante volte in una giornata. Alleanza, intesa sono parole che non hanno più significato.

I caporali c’incitano, dicono che il vento soffia in nostro favore, ma io sento queste montagne avverse. L’ Austria così vicina, così poco nitida la sua posizione.
Le notizie che ci arrivano sono frammentarie, e gli occhi dei messaggeri spesso si tradiscono.
Non posso dire di aver paura, ormai ci siamo abituati all’instabilità del futuro, la possibilità di tornare a casa. Ci sono giornate così lunghe in cui ogni fruscio in mezzo ai cespugli diventa una minaccia; il tempo che passa tra l’individuare una casacca nemica o una lepre di montagna ti lascia sospeso tra salvezza e minaccia. Impietrito saluti l’animale o impugni il fucile: sempre carico.
E voi come state?
Da qualche tempo non ricevo vostre notizie, dimentico i vostri volti e vostri profumi. Penso a Virginia, figlia mia che non ho mai tenuto tra le mani che adesso avrà imparato a parlare, ma che non sa quale viso abbia il suo papà.
Io vedo il mio viso sul volto dei miei compagni, la barba lunga e le guance scavate sotto, sembriamo cadaveri. Un poco lo siamo, perché lasceremo su queste montagne la parola speranza.. anche se vinceremo. Una guerra che non capiamo, una guerra che cambia direzione.
Nessuno ci spiega mai niente. Dicono di continuare tenaci, che presto saremo tutti a casa dalle nostre moglie, ma fatico a crederci.
Mi capita di ricacciare il pensiero indietro ogni volta che guardo il fucile e vorrei spararmi ad un piede, spezzarmi un braccio per tornare da voi. Qui servono solo due cose: un dito buono per pigiare il grilletto e un occhio buono per prendere la mira, nient’altro.
Mi mancano le mie colline, quel profumo di buono che viene dalla terra. Simone mi prende sempre in giro per questo, dice che sto sempre zitto come un caprone, ma appena mi nominano il Piave mi illumino come un bambino. Quel Piave che mi ricorda il mio Po, la mia Torino, le mie colline a cornice d quel poco d’onesto che posso ricordare.
E come dire e soprattutto a chi? che le lacrime le tengo negli occhi perché non è dato a un soldato di piangere. Che la miseria che si vive in guerra ti fa diventare il cuore un ammasso di ghiaia.
Quando senti quel fruscio e non sai bene se sarà lepre o nemico a sorprenderti spesso spero in silenzio di vedere un fucile puntato verso di me e veder tutto finito. Non mi importa della gloria e del rispetto che gli italiani daranno ad un soldato che ha servito con onore la Patria vorrei solo che quest’agonia finisse al più presto perché ci stiamo consumando. Stiamo diventando trasparenti, fantasmi che non devono e non possono fare rumore. Respirare il più piano possibile e lasciare andare la rabbia in un urlo nel secondo prima di schiacciare il grilletto e ammazzare un uomo davanti a te che ha soltanto la divisa di un altro colore.
Sbaglio, a dirvi tutte queste cose. A lasciar trasparire la mia disperazione, a confessare così il mio cuore. Non voglio che stiate in pena. Ed è l'affetto per voi che mi fa rimangiare questi pensieri.
Tornare a casa sarà la mia vittoria,nient’altro. Stringere al petto Virginia e riabbracciare la mia sposa.
E pensando a questo il pane nero e la carne secca hanno un sapore più buono.

Sempre vostro.
Piero.

27 ottobre 1917

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